Le
basi
L’attuale normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro,
malgrado sia diventata, sotto un certo punto di vista, più seguita dai datori
di lavoro e dai lavoratori negli ultimi anni, grazie anche ai maggiori
controlli da parte degli organismi competenti, pone le sue basi e le sue
origini oltre due secoli fa.
Si pensi, ad esempio, che l’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali, che nasce come forma di indennità
economica del lavoratore, volta a risarcirlo per la perdita della propria
capacità lavorativa, vede le sue origini nel 1713, anno in cui il medico
Bernardino Ramazzini pubblicò il De morbis artificum dove, per la prima volta,
viene dimostrata la necessità di una legislazione protettiva della salute degli
operai e di un impegno della medicina per preservarli dalle malattie.
Nella seconda metà del XIX secolo si assiste ad un passaggio
epocale nel panorama italiano. Si passa da un’economia prettamente agricola, ad
un’economia che si basa sull’industria, con l’introduzione di una serie di
nuovi rischi che il lavoratore dell’epoca si trova ad affrontare.
La forza lavoro si trova costretta ad operare in ambienti
totalmente privi di norme igieniche e di sicurezza, con turni di lavoro non
regolamentati e massacranti; questo ovviamente comportò un proliferare di
infortuni.
Dobbiamo aspettare il 1898 quando in Italia, con la legge n. 80, viene
introdotta, per la prima volta, nel sistema legislativo, l’obbligatorietà
dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
La legge sancisce l’obbligatorietà dell’assicurazione, estendendo
la copertura anche se la causa dell’infortunio deriva dal lavoratore stesso.
Quello che non viene ancora definito, però, è chi assicura
l’azienda. Non esisteva un unico ente in grado di gestire le polizze e che
facesse in qualche modo da moderatore.
Dobbiamo aspettare la pubblicazione della Legge 860 nel 1933, per
l’assegnazione della tutela assicurativa del lavoratore ad un unico ente di
riferimento. Nel 1933 nasce l’INAIL, Istituto nazionale per l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro.
Con il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 547/55 viene
definito il compito di applicazione delle norme che, di fatto, si applicano a
tutte le attività in cui sono presenti lavoratori subordinati.
Fin dal 1955 è chiaro come per lavoratore subordinato si intenda
colui che, al di fuori del proprio domicilio, presta attività lavorativa alle
dipendenze e sotto la direzione di altri, con o senza retribuzione. Quindi, di
fatto, anche quelli che oggi vengono definiti apprendisti o stagisti che, senza
nessun guadagno, sono inseriti nelle attività lavorative allo scopo di
apprendere un mestiere.
E’ esplicito come il compito del datore di lavoro, dei dirigenti e
dei preposti sia quello di attuare le misure di sicurezza per la tutela dei
lavoratori, formare i lavoratori sui rischi specifici e fare in modo che questi
ultimi si attengano alle regole.
Si parla anche di lavoratori autonomi. Datore di lavoro, dirigenti
e preposti devono preoccuparsi anche della loro incolumità, illustrando loro i
rischi presenti negli ambienti in cui vengono chiamati ad operare.
Di fatto il DPR 547/55 pone le basi di buona parte delle regole
definite nel D.Lgs 81/08, attualmente in vigore.
Con il DPR 303/56 vengono, invece, poste le basi per la corretta
igiene nei luoghi dove siano presenti dei lavoratori.
Si parte dallo specificare che ogni lavoratore deve disporre di
una superficie non inferiore ai 2 mq, per passare alle indicazioni minime di
altezza, cubatura e superficie dei locali chiusi. Dalla pulizia degli ambienti
alle indicazioni sul sufficiente isolamento termico.
Fin dal DPR 303 viene esplicitato come sia vietato adibire al
lavoro locali chiusi sotterranei o semi-sotterranei, a meno che non vi sia
un’idonea areazione, illuminazione e protezione contro l’umidità.
E’ con la legge 300/70 che vengono definiti i diritti dei
lavoratori suoi luoghi di lavoro, compresi gli accertamenti sanitari e la
tutela della salute e dell’integrità fisica.
Nasce la possibilità, da parte dei lavoratori, attraverso loro
rappresentanze, di verificare che il datore di lavoro o i suoi delegati,
applichino le norme per la gestione degli infortuni e di malattie
professionali, oltre alla possibilità di promuovere la ricerca per il
miglioramento di tutte le misure in grado di garantire maggior tutela nei
lavoratori stessi.
Con la legge 833/78 si crea la prima forma di uniformità delle
condizioni di salute sul territorio nazionale, stabilendo anche le relative
sanzioni penali, con attenzione particolare a:
1)
Inquinamento dell’atmosfera, delle acque e del suolo
2)
Igiene e sicurezza in ambienti di vita e di lavoro
3)
Omologazione, per fini prevenzionali, di macchine, di impianti, di
attrezzature e di mezzi personali di protezione
4)
Tutela igienica degli alimenti e delle bevande.
Inoltre, vengono fissati, e periodicamente sottoposti a revisione,
i limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e i limiti massimi di
esposizioni relativi ad inquinamenti di natura chimica, fisica e biologica e
delle emissioni sonore negli ambienti di lavoro, abitativi e nell’ambiente
esterno.
Viene definito come le unità sanitarie locali si debbano
preoccupare di individuare, accertare e controllare, fattori di nocività,
pericolosità e di deterioramento negli ambienti di lavoro. A loro carico anche
i collaudi e le verifiche delle macchine, impianti e mezzi di protezione
prodotti, installati o utilizzati nel territorio dell’unità sanitaria locale.
Nella stessa legge viene indicato come, entro il 31 dicembre 1979,
il Governo debba emanare un testo unico in materia di sicurezza, che riordini
la disciplina generale del lavoro e della prevenzione degli infortuni sul
lavoro e delle malattie professionali.
Con la legge 212/90 viene recepita la richiesta dell’Europa di
uniformarsi nella tutela dalle radiazioni ionizzanti e sulla protezione dei
lavoratori, con sanzioni per datori di lavoro e dirigenti.
Siamo nel 1991 con il D.Lgs 277/91 quando vengono prescritte le
misure per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori contro i rischi
derivanti dall’esposizione ad agenti chimici e fisici, quali esposizione al
piombo, amianto e rumore.
A queste vanno contemporaneamente aggiunti gli articoli del Codice
Penale del 1930 e successive modifiche e aggiornamenti; gli articoli del Codice
Civile a partire dal 1942 e quelli della Costituzione Italiana del 1948.
Si arriva così al recepimento della normativa europea con
direttive “sociali” che prevedono la definizione di livelli minimi per la
salute e sicurezza sul lavoro, con il D.Lgs 626/94, e con direttive “di
prodotto” che identificano i requisiti essenziali di sicurezza richiesti per la
libera circolazione dei prodotti fra gli stati membri della comunità europea e
regolamentati dalla direttiva macchine, con il DPR 459/96.
Con l’entrata in vigore del D.Lgs 626/94 e della direttiva
macchine si assiste ad un cambio di concezione in merito all’approccio sulla
sicurezza sul lavoro.
Vi è, di fatto, una maggiore autonomia del datore di lavoro nel
valutare i rischi specifici della propria realtà lavorativa e la possibilità di
individuare con maggiore autonomia i sistemi di prevenzione più adatti.
Si richiede una maggior collaborazione tra le figure della
sicurezza aziendale, individuate tra datore di lavoro, dirigenti, lavoratori e
loro rappresentanti, e medico competente.
Inizia a venir dato maggior peso alla formazione, informazione e
addestramento dei lavoratori coinvolti nei potenziali rischi a cui sono esposti
durante l’attività lavorativa.
Ad integrazione del D.Lgs 626/94 vengono poi applicate una serie
di norme comunitarie atte a regolare
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La formazione sui minori (L. 9/99)
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Norme sull’obbligo scolastico (L. 144/99 e L. 296/07)
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Norme per le lavoratrici madri (D.Lgs. 645/96 e D.Lgs. 151/01)
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Norme sul lavoro notturno (D.Lgs. 66/03)
Articolo a cura di Elena Blasi